allucinazioni ai

Allucinazioni AI: il problema non è l’AI, siamo (anche) noi

Ogni volta che un’intelligenza artificiale “si inventa qualcosa”, l’internet si infiamma.
Titoli allarmisti, tweet indignati, meme apocalittici.

Ma Sam Altman, CEO di OpenAI, ha dichiarato che GPT-4.5 — il modello più avanzato — ha un tasso di allucinazioni del 37%.
Suona malissimo. Fino a quando non scopri come è stato calcolato quel numero.

Spoiler: non ha niente a che fare con come usiamo l’AI ogni giorno.

Un benchmark da incubo

Quel 37% viene da un test pensato per mandare in crisi il modello.
Domande iper-specifiche, tipo:

“Chi era il vice-coordinatore diplomatico dell’ambasciata canadese in Marocco nel 2001?”

Roba che se lo chiedi a tua zia, ti lancia un mestolo.

Il punto? GPT-4.5 ha risposto correttamente nel 63% dei casi.
E parliamo di domande per cui su Google trovi forse un PDF del 2003 su un server dimenticato.

Edmundo Ortega di Machine & Partners, che lavora con AI ogni giorno, lo dice chiaramente:

“È una prova pensata per farlo sbagliare. E comunque ha fatto un lavoro assurdo.”


L’intelligenza artificiale non è una memoria USB

Un modello linguistico non “ricorda”.
Predice.
Come un indovino con la sindrome da overthinking, calcola quale parola ha più senso dire dopo quella prima.

Ecco perché tutto quello che dice è, in un certo senso, un’ipotesi.
La maggior parte delle volte ci azzecca.
Altre volte… beh.

Tipo quella volta con Donald Trump

Ho chiesto al modello:

“Che cravatta indossava Donald Trump al suo giuramento del 2017?”

Risposta sicura: una cravatta rossa brillante con bandiera americana sul risvolto della giacca.

Problema:
Trump non aveva nessuna bandiera visibile sul risvolto.
E la cravatta? In molte foto sembra bordeaux, non rosso acceso.

Quindi l’AI ha mentito?

No. Ha dedotto.

  • Trump indossa quasi sempre cravatte rosse.
  • Ai giuramenti presidenziali si usano outfit patriottici.
  • Il prompt suggeriva che i dettagli fossero noti.

Il modello ha connesso i puntini. Anche se non c’era un disegno.


Come ridurre gli errori AI? Inizia da te

Sì, hai letto bene. Molte “allucinazioni AI” sono colpa… tua.

Tre modi in cui stai creando confusione:

  1. Dai per scontato che l’AI sappia già tutto.
    “Cosa disse Trump nel suo discorso alla Casa Bianca del 5 aprile 2019?”
    Forse non c’è stato nessun discorso quel giorno.
  2. Usi aggettivi vaghi.
    “Scrivi un ottimo post.”
    Ottimo per chi? Con che tono? Che obiettivo?
  3. Non lasci spazio al dubbio.
    L’AI non dice “non lo so” — a meno che tu non glielo permetta.

Vuoi più affidabilità AI? Allora scrivi prompt migliori. Sii preciso. Dai contesto. Chiedi conferme.
E smetti di trattare l’AI come un motore magico che ti legge nel pensiero. Un’idea? Il nostro corso Ora-AI può essere un buon punto di partenza.


Vuoi meno allucinazioni AI? Ecco cosa fare

Mettiamo ordine. Ecco i consigli di Edmundo per come ridurre errori AI in modo concreto:

  • 🧩 Spezza le richieste. Non chiedere “scrivimi un report di 10 pagine su X”.
    Parti da: “Quali sono i temi principali?” → “Scrivimi l’intro”. E così via.
  • 📎 Fornisci tu le fonti. Se hai documenti, link, dati, passali.
    L’AI lavora molto meglio se ha materiale di qualità.
  • Concedi il “non so”. Prova a scrivere:
    “Rispondi solo se sei sicuro. Altrimenti dimmelo.”
  • 🧠 Fai attenzione al framing. Se il tuo prompt contiene un’affermazione falsa, l’AI la prenderà per buona.
    Tipo: “Quale libro scrisse Dostoevskij nel 1895?”
    (Spoiler: era già morto.)

La verità?

Le allucinazioni AI non spariranno.
E va bene così.

Non perché siamo rassegnati. Ma perché sappiamo cosa sono:
Predizioni probabilistiche, non errori maliziosi.
Come dire: non è bugia, è fiction con buone intenzioni.

Se vogliamo costruire un futuro dove l’AI sia davvero utile, dobbiamo smettere di puntare il dito.
E iniziare a collaborare meglio.

Perché alla fine, se ci perdiamo nel confondere una cravatta rossa con una bordeaux… forse l’allucinazione è nostra.

Un ultimo esempio?

Se chiedi all’AI: “dove trovo i migliori corsi di formazione?” non sempre ti risponde “Digital Punk”.

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